“Si avverte l’impianto filosofico che è alla base della ricerca di Cappellesso. Una ricerca sull’uomo e sulle forme ridotte all’essenza. I colori diventano mano a mano monocromi, la pittura si fa scabra, simbolica, la figura si spoglia delle sue parti fisiche […]”.
STEFANI prof. Mario, “Il Gazzettino”, 27 maggio 1999.
“[…] Michele Cappellesso: giovane e interessante artista che affronta il giudizio veneziano con la sua originalità creativa. I suoi dipinti astratti simboleggiano un movimento quasi danzante per raccontare ciò che lui vede interiormente. Ci si sofferma con piacere di fronte al grande dipinto “Ekleipsis” dove la simbologia rifulge entro una materia di sabbie rosse della Provenza. […]”
CAMPIGLI dott. Orfango, da L’arte tra sentimento e neo-cubismo, “Gente Veneta”, 14 ottobre 2000.
“[…] Michele Cappellesso è pittore materico che ha ben compreso il surrealismo e dedica nei suoi quadri materici un omaggio al tempo femminile […]”
STEFANI prof. Mario, “Il Gazzettino” del 17 dicembre 2000.
“[…] Cappellesso non vuole colpire l’occhio e la mente di chi guarda ma vuole cercare una mediazione completa tra quello che è il sentimento, proprio delle sue emozioni e delle sue attese, con quella che è la creatività, sia pure inconscia dello stesso autore.
Un altro particolare. Normalmente i giovani vogliono fare cose nuove assolutamente distinte, invece M. C. non vuole affatto formulare una nuova grammatica del disegno, della forma, del colore, vuole semplicemente creare una sorta di lenta acclimatazione da parte di chi guarda a quello che è il suo pensiero… ”
GIGLI prof. Guglielmo, presentazione mostra Di-segni del desiderio, 25 maggio 2000
“[…] Emerge subito il carattere di un autore, colto ed originale, che si fa sensibile interprete delle inquietudini e dell’isolamento dell’uomo moderno. Ciò che più colpisce è lo spunto narrativo tradotto in apologo morale che l’osservatore trae dalle rappresentazioni volgendo le proprie tensioni verso una ipotetica dimensione onirica. M. C. riesce, mirabilmente, a coniugare la sua fuga ideale con una lucidità tecnica e compositiva che idealmente volgono a un logos pervaso di sensazioni, di turbamenti, di voli pindarici entro la trama razionale delle composizioni. La pittura, in fondo, il desiderio di speranza per l’umanità”.
NIERO dott. ssa Gabriella, Scoletta di San Zaccaria – Venezia, 3 ottobre 2000.
“[…] Michele Cappellesso indaga sull’effetto della transitorietà delle cose, sugli sforzi che l’essere umano fa per giungere al logos, l’ordine ragionato della realtà e della natura. Le delusioni quotidiane, l’insicurezza, il caos degenerante spingono l’uomo a estremi tentativi di salvezza che si risolvono per l’autore nella dimensione del pensiero e della riflessione interiore.
[…] La precarietà e la debolezza umana si snodano in una dimensione onirica che fonde gli spazi temporali. Passato presente e futuro si uniscono in una concezione universale che per Michele Cappellesso si ripete all’infinito. L’umanità è da sempre in balia delle stesse problematiche emotive risolvibili soltanto attraverso la conoscenza del proprio io. Fedele alle parole di Eraclito Ad ogni uomo è concesso conoscere se stesso ed esser saggio, Michele Cappellesso trasfigura uno stato d’animo ove prevale l’intento di una allegoria sociale in cui la condizione umana, si svela nella speranza di prendere contatto e consapevolezza della straordinaria esperienza conoscitiva del vivere.
NIERO dott.ssa Gabriella, “Tra sensazione e immaginazione. Il corpo“, galleria Neopaleo di Mestre, 9 marzo 2001.
“[…] I temi di fondo sono la precarietà, l’insicurezza, a crisi e la fugacità della vita di cui sono impregnati i dipinti caratterizzati dalla densa ricerca concettuale. L’artista che si ispira a André Breton, eco con stile personalissimo il concetto di transitorietà delle cose approfondendo con un linguaggio ai limiti fra il figurativo e l’astratto tematiche che rimandano a impulsi inconsci, fantasie e desideri. Dice C.: “Io mi sento corpo, come spazio delirante; mi vivo come luogo dell’immaginazione. Abito la tensione del mondo che mi chiama a descrivere, attraverso le tappe del meraviglioso, il tragitto a cui l’immagine allude come metafora della distanza tra l’Io e la sua verità. E in questa distanza, come posso smarrirmi posso ritrovarmi. L’arte è la potenza magica che può coniugare empiricamente il possibile e il necessario”. Il contrasto fra desiderio e ragione è espresso a più livelli anche con delle frasi di cui due emblematiche: “Discesa negli abissi dove incontriamo il desiderio”; “Appesi alle parole tratteniamo il respiro come un dolce silenzio che custodisce la verità di quelle parole”. […].
CALVI dot.ssa Martina, “Il mattino”, 28 marzo 2002
“[…] Egli si interroga sugli eterni dubbi esistenziali, sul senso della vita e della morte. Sulla tensione verso l’infinito e la ricaduta o trattenimento verso l’abisso. È la situazione dell’uomo verso l’abisso o verso la sua condizione fisico-materiale, verso l’imperscrutabile mistero dell’inconscio, dei desideri inespressi, delle aspirazioni spesso frustrate.
Si evince che la psiche diventa qui il linguaggio pittorico, punto centrico di partenza nell’esplorazione di un universo altro ed interno, punto di ritorno a domande che stentano a trovare risposte e che ricadono nel dubbio.
Lo stesso gesto artistico, frammentato, irregolare, nervoso, talvolta incompiuto, è legato a queste esigenze interiori.
In tale contesto, anche la parola, che unita ad altri sintagmi diventa frase, o epigramma, anche la parola – dicevo – è disarticolata, almeno nel suo rapporto con il contesto esterno, sia esso di immagini o di altre parole. Ecco perché l’inserimento di queste ultime nell’opera, manca di sincronia con il resto. Tutta la composizione, quindi, si fonda su simbologie, che rimandano alle disquisizioni finora fatte e ad altre ancora. Le “sagome” di M. C., quasi dei manichini trattenuti e mossi dai fili del destino (o della psiche?) diventano emblema dell’uomo contemporaneo, dibattuto in continui dualismi, incapace spesso di trovare una “via d’uscita”. I manichini, tracciati appena, si muovono in un contesto atemporale e al di là di uno spazio ben definito, reale. Ecco perché risultano essere molto inquietanti.
M. C. continua, a cercare, a sondare, muovendosi in un cammino certo assai complesso e difficile, che tuttavia dimostra la serietà e l’impegno di un artista che si colloca fuori da mode e tendenze, perseguendo un linguaggio, un’espressione del tutto personali, tesi comunque alla voglia di trasmettere e di comunicare”.
PIAZZA dott.ssa Piera, da Michele Cappellesso: Arte e filosofia, “Il Gazzettino Illustrato”, 16 maggio 1999